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ed egli non ha omesso di citare il detestabile Tesoretto del Latini qual modello della Divina Commedia. Ginguené che copia quasi sempre Tiraboschi depurandone lo stile, ripetè questa falsità che si è accreditata e che Hallam ci ha trasmessa.

Durante il medio evo, come per lo innanzi si è provato, nulla di più comune che le visioni: una stabilita abitudine, risultante dai costumi e dalle idee cristiane, una sorte di luogo comune poetico e divoto, una specie di mitologia popolare che consecrava le fantasmagorie celesti ed infernali, le offerivano alla credula ammirazione del volgo. Dante ha egli consultate le visioni monacali che gli pullulavano d intorno? Pensò egli imitarle? Io non lo credo. Sottomesso come tutti gl’uomini di genio all’influenza del suo secolo, egli adottò il pensiero più universale, più accreditato, più comune: ei se n’è servilo come Omero ha fatto uso del politeismo ellenico. Il capo d’opera del genio, la più alta prova di sua possanza consistendo nel carpire così l’anima istessa e l’intimo pensiero di un’epoca, per indrizzarli, ingrandirli, e trasmetterli sotto una forma immortale all’ammirazione de’secoli avvenire. All’umana fievolezza non si appartiene il creare;