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Parole gravi; avvegna ch’io mi senta
Ben tetragono ai colpi di ventura. —
     Ben veggio, padre mio, sì come sprona
Lo tempo verso me. per colpo darmi
Tal ch’è più grave a chi più s’abbandona:
     Perchè di provedenza è buon ch’io m’armi. —
     O sacrosante Vergini, se fami,
Freddi o vigilie mai per voi soffersi,
Cagion mi sprona ch’io mercè ne chiami.
     Or convien che Elicona per me versi.
Ed Urania m’aiuti col suo coro
Forti cose a pensar mettere in versi. —
     E s’io al vero son timido amico.
Temo di perder vita tra coloro,
Che questo tempo chiameranno antico1.

  1. In tale sentenza Dante lasciò ai poeti avvenire il più magnanimo de’ consigli, che un vate canuto possa legare ai successori. Ad esso attengansi saldamente quanti zelano pel santo vero, temono il giudizio dell’età venture, e bramano propiziarselo. In altro luogo della Divina commedia (Inf. cap. xvi in fine) leggesi un’altra sentenza, che a prima giunta sembra opporsi alla qui riferita nel testo, ed è la seguente:

         Sempre a quel ver che ha faccia di menzogna
    De’ l’uom chiuder le labbra fin ch’ei puote,
    Però che senza colpa fa vergogna.

    Ora voglio dimostrare due cose. 1.º Come il contesto di Dante ristringa il senso di questa sentenza. 2.º Quanto si oppor-