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tarne il calore, e pure ansiosa di attirarsi per mezzo di quello gli sguardi altrui. La vanità fece Petrarca sollecito sempre e apprensivo, pur dell’opinione di coloro, a’ quali ben sentiva di soprastare. Nel carattere dell’Alighieri primeggiava l’orgoglio. Si compiaceva ne’ patimenti, siccome prove a dimostrar sua fortezza; ne’ propri difetti, quali inevitabili seguaci a virtù tutte lontane dalle battute vie; e nella coscienza di quel che dentro valeva, perchè lo francheggiava a dispettare uomini ed opinioni.

Che li fa ciò che quivi si pispiglia? —
                              Lascia dir le genti
Sta come torre fermo, che non crolla
Giammai la cima per soffiar de’ venti1.

  1. Abbraccio assai di grado la lezione del codice Florio, che, in vece di ferma, ha fermo, e trascrivo la nota, che Quirico Viviani pone a questa variante, nella sua edizione di Dante altrove citata. «Nella comune lezione l’aggiunto ferma dato alla torre è un di più che snerva, anzichè accrescere la forza della sublime immagine che non crolla ecc. Ma se noi daremo l’attributo di fermo all’uomo, il paragone sarà adeguato e mirabile. Ho citato questi versi in una nota precedente, non badando, che più avanti si trovassero nel testo; ma l’immagine, che racchiudono, è così sublime, e il consiglio così forte e generoso, che non so pentirmi di questa ripetizione.