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scopo di queste arti, le profanerete con mercimonio servile, e lascerete quelle che potriano farvi più avventurati e più onesti. Però il divino Omero cantò che la Musa gli avea rapito il caro lume degli occhi, ma che l’avea pur compensato di tanta disavventura, concedendogli l’amabile canto1. E in vero la poesia è una divina concitazione del Genio, è certa sapienza ispirata; e non è molto che udimmo l’oracolo di Delfo, interrogato da Cherefonte, rispondere ch’ Euripide e Sofocle erano sapienti tra gli uomini2. Or chi non reputa eminentissima la facoltà di persuadere? chè senz’essa nè poeti, nè storici acquisterebbero grazia e credenza; e vedo che quante discipline s’insegnano, tutte s’insegnano col discorso; e so che per essa Temistocle ed altri forti salvarono la repubblica, e la fecero gloriosa e possente, tuttochè arringassero nell’assemblea ravvolti, all’uso di Pericle, nella clamide e senza gesti nè melodia3.

  1. Omero, Odissea, cant. VII, vers. 61, 64.
  2. Vedi i due celebri versi di quest’oracolo, e l’interptazione di Suida all’articolo Sofos.
  3. Eschine in Timarco. Ed è memorabile il passo di Plutarco nella vita di Nicia: «Cleono levò la decenza e il decoro che si convengono al tribunale e alla bigoncia, e avendo egli il primo cominciato a gridar forte nel concionare, ad aprirsi la veste, a battersi sulla coscia e a scorrere quà e