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l’indifferenza del vero ch’essi non sapeano difendere, l’irriverenza al giusto ed al bello che poteano negare, l’amore del paradosso da cui solo attendeano trionfi, l’infinito numero delle quistioni, la libidine eterna di controversie, l’arte dialettica insomma. Su queste trame fu tessuta l’arte rettorica da quei letterati venali, che, promettendo di far eloquenti gl’ingegni vani e le lingue più invereconde, ebbero le cattedre affollale di demagoghi e di pubblicani che già con le speranze invadeano gli onori, le leggi e l’erario della repubblica. Primo Gorgia, che non potea amare una città ov’egli era mercenario e straniero, insegnò in Atene a blandire i vizi e l’ignoranza del popolo, ammaliandogli l’intelletto con la pompa delle figure, chiudendogli il cuore alla voce degli affetti e del vero, lusingandogli i sensi con l’azione teatrale e con la cadenza di periodi aculeati e sonanti1. Salì sul teatro e si proferì parato a qualunque argomento; e mostrò che si può declamare con lode senza meditazione2. Foggiò canoni d’eloquenza

  1. Platone, Hipp. maj. Cicerone, Orator. c. 49. Dionisio Alicarnas. Epistola ad Amm. cap. 2.
  2. Platone, in Gorgia, Cicerone, De finibus, lib. II cap. 1, ed altri.