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lettera a antonio rosmini | 147 |
E qui osserverò essere importante non confondere quello che manca all’ente senziente nell’ordine estrasoggettivo, con quello che gli manca entro la sfera dell’ordine soggettivo, che è quello del sentimento, benchè la privazione estrasoggettiva sia correlativa alla soggettiva. Onde gli effetti a ragion d’esempio della sete che si posson osservare nello stato del ventricolo ecc., non appartengono propriamente alla molestia della sete, ma la indicano, quasi come la causa indica l’effetto. Osserverò ancora che si potrebbe applicare la teoria alla molestia della noja, che si presta a belle e sottili osservazioni.
Ma dopo di tutto ciò verrebbe in campo l’obbiezione, che se il dolore è il sentimento della lotta ecc., egli è pure un sentimento, e non una semplice privazione. E qui converrebbe dimostrare che il dolore stesso in quella parte che è senti mento è piacevole. Paradosso apparente, ma pur vero; e si potrebbe illustrare con delle importanti osservazioni, come coll’istinto che ha una madre che ha perduto una figlia di abbandonarsi al dolore riuscendole grave che altri la persuada a rivolgere il pensiero altrove; del dolce che produce la compassione e il pianto a pietosi fatti visti a rappresentare, o avvenuti sui nostri occhi, dell’amor della vita, benchè addolorata anche di dolor fisico e del timor della morte (e verrebbe qui naturale per essere sciolta l’obbiezione tratta da suicidi, spiegando l’allucinazione in cui cadono, toccata nel ferroque averte dolorem di Didone); e ne’ concetti benchè strani del Leopardi e del Foscolo, che magnificano il dolore e il fanno credere all’uomo desiderabile, si potrebbe trovare un’espressione in parte vera della natura umana.
Quindi riformando o perfezionando la definizione data del dolore si potrebbe sostituirvi quest’altra più breve e che parmi toccare il punto: “Il dolore è la privazione nel sentimento„, dalla quale apparisce, che certo non c’è dolore senza sentimento, e che tuttavia il dolore non è sentimento.
Non mi dilungo, e mi son dilungato già troppo, e sopra un solo punto che non dee, spero, disturbare la bella orditura di tutto il dialogo. Ma rinnovo la preghiera di stracciare questa carta se Le sembra atta piuttosto ad intricarla che ad ajutarla al Suo intento.
Carissimo Donn’Allessandro, preghi per me specialmente ora che sono tribolato da tanti che al presente mi abbaiano addosso, a cui non so risolvermi di rispondere, parendomi tempo perso, specialmente trovandomi fra tante occupazioni coll’occhio che non mi serve, e con una certa stanchezza fisica che mi abbatte alquanto le forze; ma per grazia di Dio non quelle dell’animo.
Sono molto obbligato al buon Pestalozza che mi diffende,