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lettera a antonio rosmini |
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è quello che piace. Mi pare, direbbe il Primo, che con un cambiamento essenziale, ma materialmente piccolissimo, questa definizione potrebbe diventare, se non bona, molto migliore e più vicina al vero dell’altre tre: cioè, col sostituire sentimento a sensazione. E non credo che ci sia quell’idem per idem, che vuole il Verri, giacchè qui sono distinti due elementi che non sono direttamente significati dalla parola pia cere, cioè l’essere sentimento e cosa appetita. Sia pure, direbbe il Terzo, ma, certo una tale definizione non porta molto avanti nella cognizione della cosa. — P. È che ci sono varie sorti di definizioni come ci sono vari gradi di cognizione. Il dire e sentire che fanno continuamente gli uomini questa parola, intendendosi tra di loro, mostra ad evidenza che l’applicano a una stessa idea, cioè che hanno di quest’idea una cognizione comune. Ora, domandiamo a un uomo qualunque se il piacere è una cosa che si sente e che si appetisce; e siamo certi del sì. Abbiamo dunque in questa definizione due elementi, la verità dei quali ci è attestata dal senso comune, testimonio inappellabile, in una materia di fatto, come questa. Molte volte non manca che il nesso. Non è che un passo per arrivare a conoscere più intimamente, o più precisamente, cosa sia il piacere; ma è un passo sulla strada giusta. E sapete che per arrivare al fondo della verità, la prima cosa è mettersi nella verità. — Avete ragione: è chiaro che, per trovare cosa costituisca il piacere, bisogna cercare quale sia la qualità che rende appetibili certi sentimenti, a differenza degli altri, la qualità comune a tutti i sentimenti che chiamiamo piacevoli. — P. Credete? si può provare. Qui principierebbe una analisi di diverse sorti di piaceri, ne’ quali questa qualità comune e esclusiva a una sorte di sentimenti, non si troverebbe mai. Il Primo poi troncherebbe, quando troverebbe che possa bastare per il lettore, quest’analisi, facendo osservare che è tempo perso, giacchè, se ci fosse questa qualità comune a tutte le specie di piaceri, si dovrebbe poterla trovare nella prima speciē che s’esaminasse, e trovatala, ci si vedrebbe subito che non è particolare a quella specie. Qui, il Terzo vorrebbe lasciar lì la questione, come insolubile, ma l’altro la riprenderebbe sottomano, dicendo: Questo nostro discorso mi fa pensare a una parola che ho sentito tempo fa, proprio su questo stesso proposito. Mi trovavo una sera in una compagnia numerosa, e ero caduto in potere d’uno che mi parlava di cose più adattate a esercitar la pazienza che a cattivare l’attenzione. Vicino a noi v’erano due altri che facevano una discussione filosofica, proprio, vi dico, sul piacere; me ne venivano all’orecchio o parole o frasi staccate. In un momento uno degli interlocutori