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lettera a antonio rosmini 137


Qui, con l’ajuto d’un dizionario di medicina si accennerebbero gli effetti che produce negli organi del corpo la mancanza del liquido necessario o conveniente, e si vedrebbe che la molestia dell’assetato viene dal difetto del sentimento compito di quegli organi. E quello invece che affoga, cosa sente?

L’eccesso dell’acqua? Tanto come si può sentire il bisogno. L’acqua? Sì; ma è l’acqua semplicemente sentita che cagiona il dolore? o non viene questo dal sentire il polmone impedito dal respirare, etc., cioè dal non sentire pienamente e interamente quell’organo?

Si passerebbe ai dolori morali, dove, se non m’inganno, la dimostrazione sarebbe ancora più facile.

E dopo altre osservazioni, p. es., sul piacere che cessa per la stanchezza dell’organo, che lo rende in capace di sentire; sul piacere che indirettamente, o comparativamente cagiona un dolore, etc., etc., l’interlocutore a cui si vuole dar la vittoria, direbbe: Conclusum est contra Manichaeos. L’altro osserverebbe che ci vuole una grande smania di cantar trionfo, per servirsi d’un epifonema così fuori del caso. Ma Primo sosterrebbe che è molto a proposito, perchè il bene e il male inerenti ugualmente all’atto proprio d’una facoltà, e risultanti ugualmente dalla forma di essa, è un concetto che repugna a quello di un unico e provvidentissimo, sapientissimo, ottimo e onnipotente creatore, e s’accorda in vece, per quanto il falso può accordarsi tra di sè, col concetto stranissimo di due principî contrari, e operanti insieme nel dar la forma a un soggetto medesimo.

Oltre l’inesattezze che non saprei vedere in questo aborto, anche guardandolo a occhio riposato, ce n’è di quelle che ho vedute e lasciate correre per la fretta. Ma per l’une e per l’altre, dico a Rosmini: “Se’ savio e intendi me ch’io non ragiono.„ Così fossero i bei giorni di Lesa, che le rettificazioni verrebbero pronte, e tanto più gradite!