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lettera a antonio rosmini 135

l’atto) repugnare al soggetto che possiede quella facoltà?

T. Dunque mi rivolgo a voi per sentire se la pensate proprio così; giacchè, per quanto questo sia galantuomo, e voi originale e quasi altrettanto originali tutt’e due, sono di quelle notizie che meritano conferma. L’accettate voi davvero quella proposizione?

P. Vi dico la verità che, dopo ciò che ha detto costui, mi pare che, per rifiutarla, bisognerebbe anche confutarla . E non ci vedo altro mezzo che tornare indietro a rifare con più diligenza l’analisi di poco fa. Se osservando più attentamente, possiamo, in un piacere qualunque trovare quella benedetta qualità comune a tutti i piaceri e....

T. No, no: sono rigiri; e ho imparato da Cesare, che è una minchioneria, auctore hoste, capere consilium. Vi domando piuttosto, se per rigettare una proposizione basta il vedere che implichi una contradizione, un assurdo manifesto.

P. Bisognerebbe essere incontentabile per voler di più.

T. E non vedete, o fate le viste di non vedere, che, secondo quella proposizione, il dolore sarebbe piacere.

P. Una bagattella! Ma come?

T. Volete proprio che vi presenti l’argomento in forma?

Ogni sentimento è piacere; ora il dolore è sentimento; dunque il dolore è piacere.

P. La forma è irreprensibile.

T. E la sostanza no? Meno che non voleste dire che il dolore non è un sentimento.

P. Al punto che è stata spinta la questione da quest’amico, codesta sarebbe appunto la cosa da esaminarsi.

T. Da esaminarsi? Ma in che mondo siamo? Non