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134 | lettera a antonio rosmini |
T. Avrei in pronto l’argomento per mandare in fumo tutto codesto apparato di ragionamenti; ma, giacchè mi pare che vogliate divertirvi, voglio divertirmi per un poco anch’io. Ditemi dunque, giacchè parlate in suo nome, cosa mi risponderà se gli domando il perchè, essendo sentimento e piacere una stessa cosa, ci siano, per esprimerla, due nomi che, se piace al cielo, non sono sinonimi? Chè, se non m’inganno, parrebbe e a voi e a lui una cosa passabilmente curiosa, se uno vi dicesse: ho il sentimento di riverirla ovvero: il tale è rimasto campagna per godere i sentimenti della caccia: il tal altro ha tanto da spendere in minuti sentimenti.
S. Vi lascerà ridere, e riderà con voi, ma rimanendo ostinato nel suo proposito. È pronto a tutto, vi dico. Vi rammentate come, da principio, buttò là una parolina d’un nesso che forse si potrebbe trovare tra que’ due elementi? Io, che so come pensa, m’avvidi subito che ci covava la gatta. Vi dirà che sono due aspetti d’una cosa medesima, e che perciò essa può esser significata con due nomi; che la parola sentimento significa la cosa in sè e come pas sione del soggetto, e la parola piacere la significa in quanto è, come lo è essenzialmente, secondo lui, oggetto dell’appetito. Cosi (è una similitudine che l’ho sentito mettere in campo altre volte) così si dice idea e si dice cognizione, quantunque una qualsiasi cognizione non sia altro che un’idea, in quanto è intuita .
T. E gli parrà proprio, che una tale proposizione non abbia in corpo nulla di strano?
S. Di strano? Vi so dire che gli pare stranissima la proposizione contraria. Cosa è infatti, vi dirà, il sentimento considerato praticamente, se non l’atto della facoltà di sentire? E come intendere che l’atto proprio d’una facoltà possa (in quanto è quel-