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lettera a antonio rosmini 133

zando la voce, come si fa quando pare che la cosa meriti un’attenzione particolare, disse: Alla fine delle fini, il piacere non è altro, che sentimento. Mi parve una cosa singolare; e tornandomi in mente ogni tanto, pensavo: cos’ha voluto dire? Ma ora che cercando qual sia la cosa comune ai diversi piaceri, non ci troviamo di comune altro che il sentimento.... cosa vi pare?

T. Che so io? quasi quasi....

Qui entrebbe Secondo, per rendere più esplicita la tesi, col pretesto di dare a Terzo un avvertimento ironico. Badate! gli direbbe: costui vi vuol condurre dove non volete. Se gli concedete che il piacere non è altro che sentimento, pretenderà di farvi dire, anzi d’avervi già fatto dire che il sentimento è piacere. So che è persuaso di questo, e mi sono avveduto subito, che voleva tirarvi lì.

T. Di codesto poi non ho paura. Il paralogismo sarebbe troppo svelato. Ogni piacere è sentimento, dunque ogni sentimento è piacere, è lo stesso che dire: ogni querce è albero, dunque ogni albero è querce: ogni eroe è uomo, dunque ogni uomo è eroe.

S. Non vi fidate di questa scappatoia. Vi dirà che la parità non regge. Infatti, voi non direste certamente: la querce non è altro che albero; l’eroe non è altro che uomo. Dicendo che il piacere non è altro che sentimento, e astraendo così da qualunque modo e grado del piacere, per non considerare che la sua pura essenza, e dichiarando questa, identica al sentimento, avrete dichiarato il sentimento, identico al piacere . Ciò che vi fa dire che la querce è bensì un albero, ma non l’albero, che l’eroe è bensì un uomo, ma non l’uomo, sono le qualità speciali della querce e dell’eroe: ma dal piacere voi avrete esclusa ogni qualità speciale, dicendo che non è altro che sentimento.