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lettera a antonio rosmini 131

a dire che il piacere è quello che piace. Mi pare, direbbe Primo, che, con un cambiamento materialmente piccolissimo, ma essenziale, questa definizione potrebbe diventare, se non affatto bona, molto migliore e più vicina al vero dell’altre tre: cioè col sostituire sentimento a sensazione. E non vedo che sia quell’idem per idem che dice il Verri, poichè ci sono specificati due elementi, che sono direttamente significati dalla parola piacere; cioè l’essere sentimento e cosa appetita. (Qui si potrebbe forse accennare che il Verri probabilmente non badò all’elemento della sensazione, perchè era per lui cosa sottintesa, non solo in tutte l’operazioni, ma in tutti gli stati della mente e dell’animo; ma che a chi discerna ciò che c’è di diverso, il sentimento è cosa essenzialissima. Ma credo che sarà meglio non interrompere, con questa osservazione, il corso della ricerca).

Sia pure, direbbe Terzo; ma una tal distinzione non mi pare che dia una cognizione molto chiara, nè molto, piena, della cosa.

P. È che ci sono vari gradi di definizioni, bone, migliori, ottime; come ci sono vari gradi di cognizioni. Domandiamo a un uomo qualunque, se il pia cere è una cosa che si sente, e una cosa che s’appetisce; e risponderà certamente di sì. Abbiamo dunque in questa definizione due elementi, la realtà de’ quali è attestata dall’intimo senso, testimonio irrefragabile in una materia d’intimo senso, come questa. Ora io chiamo la definizione bona in aspettativa delle migliori e dell’ottima) quella che svolge dall’oggetto e manifesta qualcosa che nessuno ci vedeva e che tutti ci riconoscono, all’esserne vertiti. E delle volte queste definizioni elementari sono più vicine all’ultima, di quello che si crederebbe: potrà non esserci altro da fare che correggere un’inesattezza, riparare a un’omissione, osservare un