Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
130 | lettera a antonio rosmini |
fondamento, e delle cose utili che potranno cosi facilmente essere sfuggite a me, come venire in mente a Lei. Ma questo, s’intende, con tutto il suo comodo, e s’intende principalmente in un tempo, che alle tante sue occupazioni, sarà probabilmente aggiunta quella di difendersi dai novi assalti d’una cosi violenta, eppure cosi instancabile animosità.
Il dialogo sull’unità dell’idea, se mai mi trovassi nella o vera o falsa fiducia di poterlo fare passabilmente, potrebbe avvenire tra i due interlocutori già messi in campo. La fretta di Secondo, che non vorrebbe fare la strada lunga dello studio, per arrivare alla questione già accennata nell’altro dialogo, potrebbe somministrare il pretesto d’un novo, e un pretesto drammatico. Ma, con l’intenzione manifestata di studiare insieme, il dibattimento tra que’ due non potrebbe esser tirato più in lungo, senza stiracchiamenti. Introdurrei dunque un Terzo, uomo non di studî sistematici, ma di lettura varia e occasionale, il quale, avendo letto di fresco l’opuscolo del Verri “sull’indole del piacere,„ andrebbe da Primo, per sentire cosa ne pensi? Ci si troverebbero l’interlocutore e il testimonio, dell’altro dialogo.
Primo, allegando d’aver letto l’opuscolo una volta sola, e da un pezzo, ne farebbe parlare il novo interlocutore. Si passerebbe in fretta e d’accordo sul vizio essenziale della definizione del Verri, che pone l’essenza del piacere in una negazione. Terzo, citerebbe, senza però mostrarsene persuaso, tre altre definizioni confutate dal Verri, una del Descartes, l’altra del Wolf, l’altra del Sulzer: sulle quali si passerebbe ancora brevemente, ma non inutilmente per la discussione avvenire. Primo si fermerebbe di più su una quarta e ultima, quella del Maupertuy: “Il piacere è una sensazione che l’uomo vuole piuttosto avere che non avere„: definizione che, secondo il Verri, non è tale che in apparenza, poichè viene