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Milano, 12 del 1851.


Veneratissimo e carissimo Rosmini,

Mi farei veramente scrupolo di sviarle la mente, e d’affaticarle la vista con una lunga lettera, se non pensassi che potrà farsela leggere quando Le piaccia, e in momenti, direi persi, se ce ne fosse di tali per Lei, dall’ottimo P. Setti, al quale prendo quest’occasione per rammentare la mia affettuosa reverenza. Spero però, riguardo alla vista, che il servirsi del l’altrui sarà piuttosto una precauzione che una necessità, e che Stefano mi potrà subito scrivere bone nove della visita del professore di Pavia.

Ho ricevuta con gran piacere, e letta con ammirazione la lettera sull’unità dell’idea. Ma non ho potuto finora meditarci sopra abbastanza per vedere se potrei cavarne, o bene o male, un dialogo, perchè avevo la testa preoccupata dal disegno d’un altro (sul piacere), del quale Le è già stato fatto un cenno. Avendo poi dovuto metter mano alla correzione della Morale Cattolica, ho anche dovuto avvedermi subito, che la correzione non poteva essere semplicemente tipografica; ed eccomi ingolfato in un continuo e minuto lavoro. Questo m’ha stornato anche dal pensare al dialogo che disegnavo; e devo ora, per dir così, rifarmelo in mente, per presentargliene un sunto, e in parte un saggio, affine di sentire da Lei se ci sia il fondamento bono, e d’essere avvertito degli spropositi che avrei potuti mettere anche sul bon