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lettera a antonio roamini. 127

Onde anche al sensibile sopravviene mediante il pensiero un’altra forma, che è la forma oggettiva, la forma dell’ente, e questa nuova forma, che si sopraggiunge al sensibile non distrugge già il sensibile, anzi lo lascia quello che era prima, ma lo riveste, e questo rivestimento è ciò in cui sta l’essenza del conoscere. Inquanto adunque il sensibile ha ricevuto questa nuova forma, intanto è conosciuto. Ma questa nuova forma di ente o di oggetto, è uguale ed unica per tutti i sensibili, perché è sempre la forma dell’ente. All’incontro i sensibili, che anche sotto questa forma sono i sensibili di prima (e qui si scorge il nesso fra il reale e l’ideale, nesso d’identità) sono diversi, ed è dalla loro diversità, che procede la moltiplicità delle idee. Come a ragion d’esempio se si riempissero delle sfere di cristallo perfettamente eguali di varii liquori diversamente coloriti, o d’altra materia, si direbbe, quelle essere tanti oggetti diversi, eppure le sfere di cristallo sono d’una grandezza, forma e natura identica, benchè ciascuna contenga cose diverse, o unita con esse paja anch’essa dall’altre di versa. Questa similitudine è imperfetta, poiché nelle sfere di cristallo non v’ha identità numerica come nell’idea; ma v’ha però identità nella forma sferica e nella natura del cristallo, onde s’avvicina in qualche modo a ciò che si vuol mostrare.

Conchiudesi dunque, che nell’idee convien distinguersi la forma dalla materia, la materia non è idea, ma è il sensibile, da cui viene la moltiplicità apparente della forma; la forma è l’idea e questa forma avvolge i sensibili per modo, che acquistano la forma ideale, ma senza perder quella forma che aveano prima, perché restano quelli che sono nel senso (e la loro essenza sta appunto nell’essere nel senso), ma acquistano una nuova forma rispetto al pensiero, e in questa nuova forma sta l’idea pura. Non è difficile capire che l’aggiunta di una nuova relazione (fosse anche essenziale) non distrugge nulla. Rimangono dunque i sensibili, ma mentre questi prima non sono al pensiero, di poi acquistano una nuova esistenza nel mondo dell’intelligenza.

“Si potrebbe in sulla fine estendersi a mostrare come questa dottrina non ha nulla di panteistico, perché nello stesso tempo che diffende l’unità dell’idea, ammette le cose finite, e la loro pluralità, ed anzi si giova di questa per ispiegare il fatto della pluralità apparente delle idee, che, in quanto sono più, meglio si chiamerebbero concetti.

“Questo dialogo ne chiama un terzo Sul mondo metafisico, o se non piacesse questo titolo, Sulla relazione del reale coll’ideale, dove si verrebbe esponendo come il reale stesso finito rivestito della forma dell’ente, acquista la proprietà di questa, di modo che si pensa fuor dello spazio del tempo ecc. Ad un suo cenno ne stenderò pure la traccia.„