dell’Imperio, e le ale, luoghi da non iscompigliarsi impunemente, son tenute da’ Veterani. Son prima gli Ottomani ad assalire: condotti dal Visir varcano il fiume, si gittan sul centro de’ Cesarei, e il centro si rompe, si disordina. Vince il condottiero il panico timore nato fra’ suoi di quel primo assalto, gridando magnanimamente, nulla doversi paventare, quando ancor non si era tratta la spada, e raccolte genti dalle riserve, percuote di fianco i barbari, e li rispigne nel fiume. Ma la moltitudine supplendo a’ difetti della minor disciplina, somministra nuovo esercito a’ nimici, e la battaglia in un luogo fornita, ripullula nell’altro più fiera, e più sanguinosa. Non giova resistere, e servare il campo, quando, gli infedeli fermi a’ luoghi occupati, non si rimuovono; intanto che la sollecita opera de’ guastatori li ripara col presidio delle trincee; intanto che interminabili squadroni di Cavalli tragittano il guado, e poco manca a’ cristiani che non sien chiusi e circondati, terribil situazione, dove dubbio è l’uscire e certo il perdere. La timida prudenza de’ confederati consiglia che si suoni a raccolta, e la generosa prudenza del Condottiero non vede scampo che nella spada e nella vittoria. Si ricurva a foggia d’arco l’esercito cristiano, e con generale battaglia, di assalito assalitore, investe il nimico per la fronte e per li fianchi: il furor suo vien lungamente ributtato dal maggior furore de’ giannizzeri e degli albanesi, e lungamente dubbiosa è la sorte del cimento: ma le migliori arme prevalgono alle molte, prevalgono