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rati. Ma colui che non ebbe parte all’errore, egli ne meditava il riparo, rivolgendo in suo cuore uno di que’ consigli, che, nati in mente degli uomini grandi, contengono in se stessi un non so che di portentoso e di divino, cui pare che la forza medesima non abbia efficacia di resistere, e la indocile fortuna non osi disubbidire. Conobbe Scipione, che Roma, minacciata nel Lazio, non altrove meglio sarebbesi difesa che nell’Affrica; e l’emulo ed imitator suo opinò che la Fionia si dovesse vincere nella Pomerania. La qual provincia, trascorsa da’ confederati quasi a un tratto e conquistata, implorò soccorso, nè parve agli Svedesi conveniente di abbandonarla. Ma le divise forze nè bastarono a difendere il proprio, nè ad offendere l’altrui. Allora l’ingresso nella Fionia fu agevolato, e le arme cesaree, opportune e prossime nella Jutlandia, vi tragittarono impunemente. Invano gli Svedesi, all’avvicinarsi dell’esercito, ripararono sotto i bastioni e le mura di città forti e poderose: l’impeto degli assalitori non si ritenne per ostacolo, ed essi, provocati a giornata, lasciaron sul campo il fiore delle lor genti, e, alla eccezion di due, tutti i generali. Copenhaguen fu libera e sciolta dal lungo assedio, che già stancato aveva il valore de’ più forti: la gloria di una bellicosa nazione depressa eternamente salvo il trono danese, e per la mano del Montecuccoli rassicurato.
Che se coloro tra gli uomini son meritatamente celebrati, che gli hanno beneficati maggiormente, e meglio per la pubblica utilità si sono adoperati;