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monarchia; pareva quasi che l’Europa inorridita ne presagisse da’ Goti più poderosi e men barbari quelle invasioni, delle quali dura tuttavia la memoria in tanti magnifici vestigii di rovine e di devastazione.
Non era la Danimarca meno oppressa, e meno sbigottita, che la Italia dopo il fatal giorno di Canne, e alla Danimarca non mancò Scipione, se lecito è di un medesimo nome intitolare due sommi capitani, ne’ quali fu tanta somiglianza della virtù, e delle imprese.
Raimondo avanti di procedere alla nuova guerra, trasse a collegarsi con Cesare quel Sovrano di Brandemburgo, che la Posterità distinse col nome di grande, nè fu difficile ch’ei lo persuadesse con parole, dove precorreva tanta persuasione di fatti. E aggiunta colla energia del suo genio nuova e inusitata celerità all’esercito, per lunghissimo cammino pervenne alla Danimarca non intempestivo. I primi passi furon vittoriosi, e l’isola d’Alsen, ponte quasi e tragitto alle isole maggiori, e munita del presidio di quattromila Cavalli, e della fortezza di Neoburg e Federiscöde, antemurale della Jutlandia medesima, vennero in podestà de’ confederati, estenuandosi e dimezzandosi in brevissimo tratto le conquiste dell’inimico. Ma questi ed altri progressi non riuscivano a molta utilità, quando l’esercito svedese accampava nella Fionia, isola troppo opportuna a contenere un reame non molto esteso, e tutto marittimo. Non pareva scampo alla Danimarca, se gli Svedesi non si assalissero nelle