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gridando magnanimamente, nulla doversi paventare, quando ancor non si era tratta la spada, e raccolte genti dalle riserve, percuote di fianco i barbari, e li rispigne nel fiume. Ma la moltitudine supplendo a’ difetti della minor disciplina, somministra nuovo esercito a’ nimici, e la battaglia in un luogo fornita, ripullula nell’altro più fiera, e più sanguinosa. Non giova resistere, e servare il Campo, quando, gl’Infedeli fermi a’ luoghi occupati, non si rimuovono; intanto che la sollecita opera de’ guastatori li ripara col presidio delle trincee; intanto che interminabili squadroni di Cavalli tragittano il guado, e poco manca a’ Cristiani che non sien chiusi e circondati, terribil situazione, dove dubbio è l’uscire e certo il perdere. La timida prudenza de’ Confederati consiglia che si suoni a raccolta, e la generosa prudenza del Condottiero non vede scampo che nella spada e nella vittoria. Si ricurva a foggia d’arco l’Esercito Cristiano, e con generale battaglia, di assalito assalitore, investe il nimico per la fronte e per li fianchi: il furor suo vien lungamente ributtato dal maggior furore de’ Giannizzeri e degli Albanesi, e lungamente dubbiosa è la sorte del cimento: ma le migliori arme prevalgono alle molte, prevalgono alle stesse trincee. Finalmente il Visir si delibera di retrocedere, e ricoverarsi sull’altra ripa: ma dato il segno di ritirarsi, le genti, rotto ogni ordine, misti cavalli e fanti, si addensano al letto del fiume troppo angusto a tanta moltitudine: impacciati né posson rispondere al fuoco de’ Cristiani, né salvarsi col nuoto, e i gorghi del Raab, traendoli a fondo, compiono quella vittoria, che le spade non avevano ancor pienamente maturata. Tal fu l’esito della giornata di San Gottardo, così detta dal luogo del combattimento, giornata illustre, ed eternamente memorabile, se, considerati i pericoli, le difficoltà, e le conseguenze, ella fu alla Cristianità quello che Zama ai Romani, quello che Maratona agli Ateniesi. Felice Cristianità, se la pace conseguita per tanto valore, non si fosse perturbata dalla cupidità della Francia, e del suo giovine Monarca, il quale troppo della propria possanza era lusingato, perché egli inorridisse