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566 | GUERRE GOTTICHE |
sori, abbandonavansi affatto, padroneggiati del continuo che più dallo spavento, al nemico furore. In cotal zuffa perirono sei mila Gotti, e molti si diedero prigionieri, ma in vano, poichè sebbene ottenuta pel momento la vita, furono quindi senza eccezione spenti; nè dall’orribile strage andò libera grandissima parte dei militi descritti in prima ne’ romani ruoli e poscia, come riferiva ne’ precedenti libri, disertati al nemico. I pochi sottrattisi da morte e prigionia ebbero agio ad ascondersi e fuggire come meglio la celerità del cavallo o dei piedi, unitamente ad una propizia stella, vi consentì quando l’opportunità del tempo e del luogo appresentossi loro.
III. Il combattimento era già pervenuto al suo termine, come narrava, e le tenebre coprivano la terra mentre alcuni Romani ostinavansi tuttavia d’inseguire tale de’ fuggitivi, ignorando ch’egli si fosse Totila, il quale cercava in quella oscurità modo alla propria salvezza, accompagnato da soli cinque guerrieri compresovi Scipuar; altri de’ persecutori era il gepida Asbado. Ora questi fittosi nella mente di lanciottare dagli omeri lo sconosciuto, essendo lì per arrivarlo, s’udì riprendere ad alta voce da un giovinetto nemico, ai servigi del re e seco lui nell’attentato scampo, lamentandone la sciagura con simiglianti parole: Che ti vuoi, o cane, mettendo a repentaglio la vita del signor mio? Asbado per tutta risposta con potentissimo colpo di lancia trapassò cui posto avea la mira, vedendosi contemporaneamente egli stesso in un piede ferito da Sciupar, e costretto a fermare il passo; nè andò esen-