cheremmo un’amica borgata da cui ottenere qualche conforto di vittuaglia. Ogni nostra speranza riposa in Ancona, quando, traversato il mare, ne sia concesso apportarvi e riparare in fide mura. Adunque griderem vittoria nell’odierno conflitto, raffermata la città, come vuol giustizia, sotto l’imperio d’Augusto, prenderemo non vana fiducia di condurre a buon fine la guerra. Vinti al contrario, non voglia il Nume che (per tacere di più gravi cose) i Romani vadano eternamente privi dell’italiana signoria. Inoltre mostrandovi ora codardi non avreste più scampo, essendo che il continente, occupato dai nemici, non potrebbe darvi salvezza, nè il mare, di lor forza riboccante, presterebbesi alla vostra navigazione. Ogni nostra speranza adunque pende nel prospero successo di questo combattimento, e nelle sue buone sequele. Fate quindi pruova di coraggio e valore in esso pensando che una sconfitta sarebbe l’ultima per voi, ed una vittoria colmerebbevi d’incomparabile felicità e splendore.» Giovanni e Valeriano così parlarono; i duci poi de’ Gotti alla lor volta diressero alle truppe la seguente arringa: «Da che questi malvagi, espulsi da tutta Italia ed acquartatisi entro terrestri e marittimi luoghi a noi ignoti, ora ne sfidano a battaglia, c’è forza reprimere del nostro meglio lo consigliato ardimento, acciocchè non abbiano per gottica dabbenaggine a vie più imbaldanzire. E di vero una sconsiderata arroganza non doma nel suo nascere piglia tosto il carattere di strabocchevole audacia, e sol termina quando abbia profondato in calamità gravissime