mento a’ valorosissimi duci Scipuar, Gibia e Gundulf (o come altri nomavanlo Indulf) stato da prima lancia di Belisario. Aveali similmente afforzati dirizzando a quella volta quarantasette navi, acciocchè e’ potessero con assedio marittimo e terrestre più di leggieri e speditamente averne il castello. Eran poi già da qualche tempo sotto quelle mura, quando la guernigione cominciò a patire di vittuaglia; il perchè Vitaliano allora di stanza in Ravenna, sapevole delle occorrenze dei suoi e bramoso di ripararvi, ma d’altronde persuaso di non avere mezzi sufficienti all’uopo, scrisse in Salona a Giovanni, nipote di Vitaliano, del tenore seguente: «Ben sai tu stesso che di qua dal seno Ionio tutto perdemmo, salvo Ancona, se pur questa oggi ne rimane, essendo le cose de’ Romani quivi strettissimamente rinchiusi venute a tali estremi che temo ogni soccorso intempestivo, e per lo soverchio indugio vano il nostro buon desiderio. Così termino vietandomi di scrivere più a lungo urgente bisogno degli assediati, cui addiverrebbe funesto il differire d’un attimo ad assisterli essendo il pericolo maggiore di qual tu vuoi descrizione.» Giovanni ricevuto il foglio, di proprio arbitrio e contro gli ordini imperiali dapprima avuti, si pose tosto in cammino, estimando vie più meritevole di considerazione l’imminente rovina cui volgevano, opera del fato, quelle bisogne, che non i bizantini comandamenti. Fatta quindi cerna tra’ suoi militi de’ più valorosi collocolli sopra trentotto lunghe navi, prestissime al corso, ed assai adatte ai certami di mare; compiutone di poi con fodero il carico e postosi alla vela afferrò