gliore: nè questa loro amicizia teco li porterà giammai ad impedire i guasti delle tue provincie, nella tema che dopo felice impresa i domi da essi abbiano a rimirarsi con generosità maggiore trattati. E valga il vero, noi passiamo nostra vita in isterile e deserta regione, mentre i Cuturguri vanno abbondantemente provveduti d’annona, trangugiano vino a iosa nelle cantine, ed hanno tutti come fornire di soave cibo i loro palati; non difettano tampoco de’ bagni? Vuoi di peggio? corron le vie azzimati con ornamenti d’oro e con sottilissime vesti screziate del prezioso metallo; vivonsi poi questa beata vita per avere condotto seco innumerabili caterve di romani prigionieri assoggettandoli a tutti gli uffizj de’ mancipj, e non appena caduti nel minor fallo, dannandoli, non paghi delle battiture, ben di leggieri alla morte; renduti così miserabili vittime di quanto la perversità dell’animo e la forza sa porre in capo ad un barbaro padrone. Noi Uturguri in cambio la mercè di nostre fatiche ed incontrando il massimo de’ pericoli ci facemmo a sottrarli da sì tremenda vita, e messi in non cale tutti i disagi della guerra li abbiamo restituiti ai congiunti. Ma che, in modo ben opposto furono guiderdonate le azioni d’entrambi; dimorando noi tuttavia abbandonati nella brettissima nostra patria, e queglino stessi cui valorosamente affrancammo da sì orribile giogo mettendo senza discrepanza veruna i Cuturguri a parte de’ beni loro.» Gli ambasciadori terminata questa diceria ebbero da Giustiniano belle parole, accompagnate da sontuosi doni, e non guari dopo si partivano: tanto di costoro voleasi dire.