Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/431


LIBRO TERZO 421

piede su quel de’ Romani trucidò senza riguardo all’età chiunque capitavagli innanzi, lasciando nell’Illirico e nella Tracia il suolo per ogni dove lastricato d’insepolti cadaveri. Nè a dar morte adoperavano spada, asta od altro de’ consueti mezzi, ma ficcati profondamente in terra acutissimi pali e sovrappostevi a sedere lor vittime attendevano, premendole con grandissima forza, che le punte di quelli apertosi un varco sino alle viscere spegnesserne a furia di tormenti la vita. Piantavano anche tal fiata nel suolo quattro grossi legni e legativi piedi e mani dei prigionieri percuotevanne replicatamente con bastoni le cervici, morendoli a foggia di cani, serpenti o altra belva comunque; non rade volte eziandio ammonticchiatili in tugurj co’ buoi e colle pecore, di troppo lento passo per condurle in patria, faceanli spietatamente consumare dalle fiamme; di questo modo eran soliti martoriare que’ miserandi prigionieri. Sazj da ultimo ambo gli eserciti e quasi ebbri di tanto sangue versato, risolverono di largire ad essi la vita, e quindi ripatriarono con miriadi infinite di schiavi1.

  1. È uopo condonare al retore e sofista cotanto enfatica espressione.