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LIBRO TERZO 413

tenza, al sopraggiugnere forse di altre faccende, abbandonò l’ottimo suo proponimento.

II. Il romano assedio contava già lunga durata quando parecchi Isauri a guardia della porta insigne pel nome dell’apostolo Paolo, mal tolleranti la trascurataggine imperiale nel guiderdonare i loro diuturni servigi, e vedendo a uno i suoi connazionali, traditori in addietro di Roma ai Gotti, gloriosi per le molte ricchezze, frutto dell’abbominevole colpa, promettono a Totila in clandestino colloquio d’introdurlo ad epoca stabilita nella città. Venuto il giorno questi macchinò la seguente frode. Nella prima vigilia della notte appronta sul Tevere due piccole fuste, e fattivi salire due trombettieri comanda loro che valicato il fiume ed accostatisi alle mura dieno a tutto potere nelle trombe. Egli quindi avviossi occultamente coll’esercito alla porta insigne come narrava dal nome dell’apostolo Paolo, ed a prevenire che parte veruna del romano presidio col beneficio della notte di là passasse a Centumcelle, unico luogo forte rimaso in que’ dintorni agli imperiali, mandò a occuparne la strada numerose schiere di militi coll’ordine di combattere i fuggenti. Quelli ne’ paliscalmi approssimatisi alle mura giusta il comando principiarono a trombettare. I Romani stupefatti e pieni di spavento andavano a romore, tutti all’impazzata abbandonando la stazione loro per soccorrere laddove il pericolo sembrava maggiore: i soli felloni isauri tenutisi fermi alla porta ov’erano di guardia, ed a bell’agio spalancatala introduconvi il nemico, dal quale si fa orrenda strage di quanti sono per via. Molti fuggono dalle