maggior fatica a venir meno. Laonde vivete pur certi che troverete in noi forti e costanti compagni; mercè di che vi farete meritamente nostri confederati. Osservate poi di qual tempera sieno i Longobardi: pieni di sconsigliato ardimento non voglion sapere di arbitri, avvegnachè spesso da noi stimolati, nella composizione delle nostre discordie; ma ora che la guerra è sullo scoppiare, paventandone la riuscita, certi della propria debolezza s’appresentano a voi con preghiera di armarvi, contr’ogni equità, a favor loro, nè vergognansi questi predatori di addurre che e Sirmio ed altri luoghi della Tracia dannovi pieno diritto ad una lega seco; quando l’imperio tuo va sì ricco di città e provincie da esserti forza trovar genti disposte ad abitarne qualche parte, siccome possono testimoniare i Franchi, gli Eruli e gli stessi Longobardi cui assegnasti e cittadi e paese in tanta copia che indarno ci occuperemmo rintracciarne appunto. Noi Gepidi poi, tutti fiducia nella tua amicizia, quanto bramavi eseguimmo, fermi nella persuasione che l’uomo voglioso di alleviarsi del soperchio suo donandolo, provi diletto maggiore nell’essere antivenuto da chi entra spontaneamente in possesso del dono per viva credenza di speciale affetto, non già per ischerno, che nel vedersi obbligato d’inviarne l’offerta, e tale appunto i Gepidi si comportarono co’ Romani. Or dunque sottopostevi cosiffatte osservazioni vi preghiamo per diritto sociale che assaliate con tutte le vostre forze ed unitamente a noi i Longobardi, o pure vi dichiariate con entrambi neutrali, ed appigliandovi