capitanava i Gepidi, Auduino i Longobardi. L’imperatore volendo porgere ai legati delle due genti orecchio ordinò venissero gli uni dopo gli altri al suo cospetto. I Longobardi, primi ad essergli presentati, così a un di presso orarono: «Ci facciamo ben grande maraviglia, o imperatore, della ridicola insolenza dei Gepidi, i quali dopo tanti e sì gravi danni apportati ai Romani osano tuttavia comparire al tuo trono per offenderti colla massima delle superchierie. Imperciocchè opera con somma indegnità e sfrenatezza verso i prossimani chiunque estimandoli assai facili a dar nella frode, nè contento di averli già iniquamente oltraggiati cerca di nuovo sorprenderli per vie più abusare della bontà loro. Ad un che solo di grazia poni mente, e sia come i Gepidi comportinsi nell’amicizia, e con tale considerazione provvederai del miglior modo alle cose tue, potendo mai sempre i mortali dal passato conghietturare giustamente l’avvenire. Che se costoro fossersi appalesati perfidi con altra gente qualunque occorrerebbonci ora, bramosi di chiarirne gli animi e le consuetudini, e prolissi discorsi e luogo tempo ed estrarne testimonianze, ma voi stessi ne fornite un fresco esempio. In epoca anteriore alla nostra, quando i Gotti aveansi tributaria la Dacia, tutti i Gepidi da pezza abitatori di là dall’Istro si paventavanne la potenza che mai osarono valicare il fiume, ed in allora confederati e benivoglienti de’ Romani aveansi ogni anno sotto velo di amicizia moltissimi doni così dagli spenti imperatori come da te al paro di essi liberale. Qui volentieri domanderemmo loro in che mai