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LIBRO TERZO | 357 |
luogo deserto, e la costoro mercè signoreggiamo Roma e Spoleto; siate dunque voi servi, ed eglino, stretti di amicizia e di benevolenza con noi, suppliranno di pieno diritto le vostre magistrature.» I patrizj udivano silenziosi tali invettive, ma Pelagio proseguì a scongiurarlo che dimenticasse le colpe di quelli infelici; ed alla per fine il re accommiatolli confortati dalla promessa di usar loro clemenza.
III. Totila di poi mandò Pelagio ed il romano senatore Teodoro ambasciadori a Giustiniano Augusto fattili innanzi tratto sagramentare in istrettissima guisa che rimarrebbonsi benivoglienti alla sua persona, e prestissimo tornerebbero indietro. A simile ingiunse loro di adoperarsi come potessero il meglio onde ottenere la pace per non obbligare i Gotti alla totale distruzione di Roma e, tolto di vita il senato, a scombinare colla guerra l’Illiria: di pari tempo consegnò ad essi lettera per Giustiniano sapevole di già delle italiane sciagure. Costoro presentatisi al monarca bizantino fecero i comandamenti di Totila, e diedergli la scritta della seguente conformità: «Nella credenza che sienti ben noti i romani avvenimenti ho risoluto di passarli con silenzio; quindi comprenderai di leggieri a che tenda la mia mandata. Chiediamo con lei che vogli tu stesso accogliere il bene della pace, ed accordarlo egualmente a noi, del che memorie bellissime ed illustri esempi lasciaronti Anastasio e Teuderico, i quali in epoca ben vicina alla nostra compierono regnando con somma pace e felicità i giorni loro. Che se pur tali saranno i tuoi desiderj potrai