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338 GUERRE GOTTICHE

nè vi turbi l’audacia del nostro dire, sibbene ponderate da essa la gravezza de’ mali che duriamo, l’inevitabile disperazione della salute togliendo l’attitudine di moderare azioni e parole. Considerate, se vi piace, o duci, non essere noi più Romani, non aver con voi schiatta e civili istituzioni comuni, nè di proprio arbitrio avere accolto in città le prime truppe di Cesare; ma che da principio vostri nemici, e quindi, impugnate le armi contro di voi, superati in campo, fummo ridotti per guerresco diritto al servaggio. Somministrate dunque ai vostri prigionieri vittuaglia, e se non quanta suole averne di consueto la vita ed a sufficienza per essa, almeno il bastevole a prolungarne comunque la durata; acciocchè superstiti vi possiamo rispettare, come vuolsi praticato da servi co’ loro padroni. Che se forniti del buon volere ne opinate malagevole d’assai esecuzione ridonateci la libertà, cansando così la briga di dare a vostri prigioni sepoltura. Se poi neppur questo a noi è concesso sperare, vi domandiamo in grazia almeno la morte; consentite che poniamo onesto fine alla vita, non invidiandoci un dolce trapasso: liberate di colpo noi miseri dalle nostre immense sciagure.» Bessa posto orecchio alle costoro suppliche rispose non essere in potere suo il fornirli d’annona, giudicare empietà l’ucciderli, e pericoloso il farli partire. Assicurolli nondimeno che perverrebbe tra poco Belisario con tutto l’esercito spedito da Bizanzio, e con sì belle consolazioni diede a tutti licenza.

II. La fame intanto col lungo temporeggiare addi-