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LIBRO TERZO 333

chezze da Bizanzio, ove lungamente soggiornando era addivenuto accettissimo a Giustiniano Augusto, in quelle miserie col donare a larga mano ai poveri la massima parte del proprio denaro appose ben degno cumulo al già conseguito splendore del nome suo presso tutti gli Italiani. Di guisa che i Romani sì crudelmente bersagliati dalla fame persuadongli di presentarsi a Totila per ottenere pochi giorni di tregua, dopo i quali, non avendo ricevuto soccorso alcuno da Bizanzio, farebbonlo padrone e di quelle mura e di se stessi. Pelagio accettò l’ambasceria ed il re gotto al venirgli innanzi, accoltolo onorevolmente e con bontà somma, fu il primo a favellare dicendo:

III. «È consuetudine pressochè di tutti i barbari il portar riverenza agli ambasciadori, ed io sino dalla mia prima età ho cercato mai sempre di coltivare ed aver cari personaggi al par di te virtuosi. Il rispetto poi o l’oltraggio verso di essi penso non consistere nella piacevolezza de’ modi, o nelle arroganti parole di chi li riceve, ma nel proferire candidamente il vero, o nell’usare alla loro presenza inutili e bugiardi parlari. Ed in fe mia che tratterai con molto onore colui, il quale potrà da te prendere commiato coll’aver udito la pretta verità. Per lo contrario verragli fatta pessima accoglienza quando egli sia costretto a partirsi colle orecchio piene di sole finzioni e menzogne. Tu, o Pelagio, avrai da noi ogni tua dimanda, fuori che tre; le quali ti giova passare con prudente silenzio a fine di non darci carico di malevolenza nel contraddirle, quando saresti tu solo in colpa del