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LIBRO TERZO 291

che mortalmente offeso. Qui volle contrario fato che la punta dell’asta di Uliare andasselo per diritto a percuotere nella lorica, e penetrandovi a poco a poco approfondasse discorrevole finchè giunta al collo potè ferirne leggiermente la pelle ed, approfondatosi ancor più il ferro, tagliare la sottoposta arteria. Il perchè sgorgandone molto sangue egli quantunque libero da ogni sensazione dolorosa videsi costretto a riparare, data la volta al cavallo, presso de’ suoi. Uliare intanto ivi stesso cadde privo di vita; Artabane pur egli, fallito ogni mezzo di rattenere il sangue, dovè mandare dopo il terzo giorno l’estremo fiato, avendo col morir suo totalmente sconvolta la speranza de’ Romani, pe’ quali non fu di lieve danno l’essere addivenuto inetto al combattere. Imperciocchè mentre lunge dagli schieramenti il trar d’un dardo curava la sua ferita vennero le truppe alle armi, e nel bollore della pugna i trecento Gotti arrivati da tergo dell’imperiale esercito fecero all’imprevista la comparsa loro. Il nemico miratili e credendone il novero maggiore inorridì per lo spavento, e tutti incontanente, ove ognuno ebbe il destro, la diedero a gambe. I barbari menarono strage di costoro abbandonati a sì turpe fuga, raccolsero gran copia di prigionieri, e conquistarono tutte le insegne; cosa per verità mai più accaduta ai Romani. I duci con ben pochi e del loro meglio sottrattisi all’eccidio, vegliarono poscia alla difesa di quelle città in cui ebbero asilo.