raggio ascendono ai merli, e da quivi appiccata battaglia colla gran moltitudine de’ barbari, tutti, e più che tutti Artabaze distinguendosi, con valorosissime azioni duravano intrepidi all’impeto de’ nemici. Intanto i romani duci, acconciatisi amichevolmente sulla divisione della preda veronese, procedevano col nerbo delle truppe alla città; se non che avendone trovate le porte chiuse e con prodezza difese dai Gotti voltarono tosto le spalle, nulla curantisi de’ compagni alle prese col nemico, nè delle supplichevoli voci ch’e’ mandavano pregandoli di non venire abbandonati, e di sostare un momento per fornir loro il tempo di raggiugnerli. Quanti adunque erano là rinchiusi con Artabaze, oppressi dal numero de’ barbari e disperando aita dalle sue genti, d’un salto gittaronsi precipitosi giù dal muro al di fuori, e chi ebbe il destro di cadere nel piano aggiunse sano e salvo il romano esercito, e di questo numero fu Artabaze; ma quanti batterono sopra luoghi aspri, tutti ebbero quivi morte. Artabaze pervenuto al campo de’ suoi proseguì insieme con essi il cammino, scagliando qua e la mille improperj senza riguardo a persona. Valicato l’Eridano1 trassero tutti a Faenza città della provincia Emilia, e lontana da Ravenna stadj cento.
- ↑ Il Pò.