siccome reo di tentata fuga ai nemici, e poco dopo con inganno lo spense. Per questa uccisione poi vennegli addosso l’odio di tutti i Gotti, i quali di mal animo soffrivano essersi così sconsigliatamente tolto ai vivi quel duce, e molti di già unitisi a cospirazione rinfacciavano al monarca loro il commesso delitto, ma nessuno ardiva gastigarnelo. Aveavi con essi un Vilas, di schiatta gepida, ne’ ruoli degli astati regali, e sposo d’una donna che perdutamente amava. Partitosi costui con pochi compagni per iscorrazzare su quel dei nemici, Ildibado o imprudentemente, o indotto da motivo cheunque tu vuoi, congiunse la donna in matrimonio con altro barbaro. Vilas tornato dallo scorrimento e fatto avvertito della cosa, essendo tutto fuoco di natura, non comportò nullamente l’indegnissima azione, ma tosto entro a sè fermò di uccidere il suo offenditore persuaso di rendere segnalato servigio all’universale de’ Gotti. Ed irremovibile dal proposito vi diede compimento in certo giorno assegnatogli ad assistere il monarca sedente a convito co’ suoi ottimati, essendo costumanza loro che alla mensa del re intervengano e gli astati regali ed altri molti. Ora intanto che Ildibado poste le mani in su le vivande teneasi colla testa e cogli omeri curvato, fu ratto da Vilas percosso nella cervice, di maniera che avendo ancora il cibo tra le dita il suo capo spiccato dall’imbusto balzò sul desco con grandissimo stupore di tutti i circostanti. Ildibado pagò di tal guisa il fio della morte d’Uraia, ed il compiersi del verno chiuse l’anno sesto di questa guerra che Procopio
ci lasciò scritta.