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LIBRO SECONDO 265

Vitige ne lo seppe e quantunque per sè paventasse, lodò tuttavia il pensiero de’ suoi, e fin egli stesso volle animare di nascosto Belisario ad impadronirsi dell’imperio dichiarando che niuno avrebbegli fatto contro. Allora costui invitati altra fiata a parlamento in uno co’ duci gli ambasciadori di Augusto interrogolli se riputassero impresa grande e meritevolissima di lunga fama il pigliare colla guerra Vitige e tutti i Gotti seco, l’addivenire padrone di tutte le ricchezze loro, ed il ricuperare da imo a sommo l’Italia ai Romani? Eglino confessano che aggiugnerebbesi di questo modo esimio ed immenso cumulo alla prosperità italiana, e supplicanlo ch’e’ voglia di subito darvi mano se abbiane il mezzo. Belisario spedisce allora alcuni de’ suoi famigliari a Vitige ed agli ottimati de’ Gotti con invito di tener la promessa. Questi, la fame più non consentendo all’indugiare la bisogna, anzi sollecitandola col rendersi di continuo vie maggiormente insopportabile, inviano messi al campo romano coll’ordine di tacere a chicchessia del volgo l’argomento di lor mandata, ed abboccatisi da solo a solo con Belisario di riceverne il giuramento ch’e’ non avrebbe per niente molestato uom de’ nemici, ed eserciterebbe d’ora innanzi la regale autorità sopra gl’Italiani ed i Gotti; quindi condotta a buon termine l’ambasceria tornerebbero in Ravenna col supremo duce e coll’esercito romano. Belisario in quanto al resto sagramentò che avrebbe colla maggior fedeltà compiute le fattegli inchieste; intorno poi all’offerta del regno disse che giunto nella città pronuncerebbe il suo giuro alla presenza dello stesso Vitige e degli altri ottimati.