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LIBRO SECONDO 255

sole di sufficiente presidio, condusse i prigioni e le truppe sotto di Aussimo. Quivi giunti Belisario mostrando i vinti duci ai difensori di quelle mura esortavali a riaversi da un così inopportuno impazzire, ed a spogliare gli animi delle affatto vane speranze ricevute da Vitige, siccome inutili, nulla rimanendo loro di meglio che, rifiniti dalle giornaliere calamità, piegare il capo alla sorte medesima, cui la guernigione di Fiesole dovè alla stretta de’ conti soggiacere. Queglino adunque dopo lunga e matura deliberazione, abbattuti dalla fame, prestarono da ultimo docile orecchio ai consigli avuti, e dichiararonsi pronti a cedere la città quando si accordasse loro di poter sani e salvi e colle proprie suppellettili riparare in Ravenna. A tale proposta Belisario stettesi lungamente in fra due, vedendo contraria alle sue future imprese la congiunzione di tanti e tanto valorosi nemici con quelli nell’Emilia a stanza. Increscevagli d’altronde perdere cogli indugj l’occasione, e pensava, lasciando qui le cose tuttavia in sospeso, di marciare contro al re loro. Imperciocchè era inquieto sulle mosse de’ Franchi, divolgatosi ch’e’ sarebbero per giugnere tra breve in soccorso de’ Gotti. Così e’ bramava ardentemente prevenirne l’arrivo e non volea tampoco abbandonare le mura d’Aussimo prima di conquistarle. I soldati di più faceangli instanza che non accordasse ai barbari di ritirarsi portando seco il danaro, ed a vie meglio indurlo dalla loro mostravangli le ferite in gran copia ricevute durante l’assedio, nè taceano tutte le sofferte molestie, mercè delle quali teneansi in diritto d’un guiderdone colle spoglie de’