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LIBRO SECONDO 253

freccia avventata da tale de’ nemici iva già, vuoi a caso, vuoi ad arte, e stridendo per la gran foga nell’aere ad investire direttamente il ventre del condottiero assorto in altre cure, e quindi nella impossibilità di allontanarsi o di evitarne l’offesa. Una sua lancia tuttavia, di nome Unegato ed a breve distanza da lui, veduto il pericolo e fattoglisi colla destra scudo, salvollo contro la comune aspettazione; ma riportatone egli grave ferita dovè tosto addoloratissimo abbandonare l’ordinanza, nè fu più in istato di valersi del braccio, avendone il colpo troncalo i nervi. La battaglia principiata col mattino prosegui sino al meriggio, e sette Armeni agli stipendj di Narsete ed Arazio fecero in essa pruove da dirsene, correndo su per que’ malagevolissimi balzi non altrimenti che nella pianura, ed uccidendo chiunque s’opponeva loro, finchè giunsero a mettere in fuga i barbari di fronte; gli altri Romani veduto l’inimico piegare vie più lo incalzano, e messolo alla per fine in piena rotta costringonlo a riparare entro le mura. Tra queste faccende gl’imperiali opinavano di già abbattuto dagli Isauri il serbatoio dell’acqua, e condotta a felice termine l’impresa; quando per lo contrario non erasi ancor levata una sol pietra, essendo che gli artefici degli andati tempi, soliti ad eseguire le opere loro con tutta la perizia dell’arte, aveanlo costruito forte sì da non cedere alle ingiurie nè degli uomini, nè degli anni. Gli Isauri adunque non appena retroceduti i Romani nel campo vi tornarono anch’essi, abbandonando la grotta senza compiere l’impresa loro. Belisario allora coman-