Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
LIBRO SECONDO | 237 |
città occupandosi di nuovi macchinamenti; fecero in ispecie acquattare di ascoso nelle valli sottoposte alle mura sceltissima schiera delle genti loro, per modo che apparissero in qualche distanza ben pochi foraggiatori. Datosi quindi principio alla zuffa balzando fuori de’ nascondigli quanto vi ritenean celati, ben superiori in numero de’ Romani, con impreveduto urto ne feriscon molti, e costringono gli altri a dare precipitosamente di volta. Gli imperiali poi rimasi negli steccati aveano veduto i barbari uscir fuori delle insidie, e quantunque con voce altissima chiamassero indietro i compagni non erano riusciti a farsi intendere, imperocchè i combattenti non udivan affatto lor grida, essendo lontani per tutta la non breve erta del colle ed assordati dal nemico, il quale faceva a bello studio grandissimo strepito colle armi.
III. Procopio allora, autore di questi libri, si presentò a Belisario, e nulla sapevole de’ costui divisamenti per impedire nuove consimili sciagure gli disse. «Ab antico i trombadori de’ romani eserciti, o capitano, venivano ammaestrati nel trombare in due guise; l’una delle quali non differiva punto da esortazione o provocamento alla pugna; l’altra richiamava nel campo i combattenti quando il duce giudicasselo opportuno. Così in ogni tempo i condottieri divulgavano con agevolezza somma i comandamenti alle truppe, e queste poteanli di colta eseguire. Conciossiachè principiata la mischia un nulla vale lo sforzo della voce ad esprimersi chiaramente, d’ogni intorno ripercotendo il fragor delle armi, e la tema