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LIBRO SECONDO 223

to e ridotta in pane. Molti in causa di ciò (e come essere altrimenti!) soggiacquero a malattie d’ogni genere, e furonvi pur di quelli la cui salute non ne ebbe danno. Si racconta poi che nell’agro Piceno perissero di fame per lo meno cinquanta mila romani lavoratori ed anche d’assai maggior numero v’andasse la vita di là dal seno Ionico: ed io, testimonio di vista, riferirò i sintomi di cotanto morbo e come le sue vittime discendessero nella tomba. Tutti erano pigliati da magrezza e pallidore; la carne ciò è venutole meno il nutrimento andavasi, come vuole l’antico proverbio, di per sè mangiando e consumando, e la ridondante bile diffusasi per tutto il corpo rendevalo di quella brunezza. Avvaloratosi il morbo gli umori affatto scomparivano, e l’arida pelle vestiva forma simigliantissima al cuoio, e l’avresti detta incollata alle ossa; quindi il livido colore mutatosi in nero dava loro sembianza di tizzoni ammorzati. Sempre li miravi con istupidito volto e con occhi orrendamente furibondi; questi uscivan di vita per inedia, queglino per soverchia copia di trangugiato cibo; imperciocchè del tutto spentosi il naturale calore negli intestini, ove e’ stati fossero nutriti a sazietà, e non a poco a poco a mo’ di neonati fanciulli, aveano dall’alimento stesso, inetti a digerirlo, anche più sollecita morte. Nè mancarono esempi d’infelici, i quali, stretti dalla fame cibaronsi di lor carne a vicenda; e fin si narra che in tale campagna oltrepassata Arimino città due femmine, le sole rimaste nella borgata, attutassero il ventre con diciassette forestieri, i quali tratto tratto avviati a quella parte andavan presso di loro ad