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214 | GUERRE GOTTICHE |
Arazio e di Narsete, fratello dell’ultimo, pari in numero per lo meno a diecimila e tutti coraggiosissimi e pieni di marziale valore, bramerebbero che la gloria della riconquistata Italia non tornasse per intiero a merito di Belisario, ma eziandio a quello di Narsete. Nè sembrar loro conveniente ch’egli partitosi dal famigliare consorzio di Augusto debba con suo pericolo assodare l’altrui gloria e non accrescere meritamente la fama, già per ogni dove chiarissima, delle sapienti e nobili sue imprese. Aggiungevano che senza di lui Belisario nel tratto successivo non imprenderebbe cosa di rilievo, sprovveduto essendosi della massima parte dell’esercito per guernirne le città conquistate, e numeravanle tutte ordinatamente dalla Sicilia fino al Piceno.
II. Narsete compiaciutosi al sommo di questa esortazione più non potea rattemperare il suo animo e tenerlo ne’ dovuti limiti; il perchè di sovente volendo Belisario accingersi a qualche impresa, egli distornandonelo ora sotto l’una coverta, or sotto l’altra, riusciva ad invanirne i divisamenti. Alla fin fine il comandante supremo accortosene, ragunati i duci, pigliò ad aringarli di tale conformità. « Parmi, o duci, pensarla in guisa ben contraria da voi sulla presente guerra, poichè vi osservo non curanti del nemico, quasi lo aveste già del tutto vinto. Mi è forza quindi paventare non questa vostra presunzione ci esponga ad un pericolo manifesto; e di vero ho dovuto ben conoscere che i barbari v’hanno ceduto il campo non da pusillanimità o scarsezza di gente stretti, ma con senno ed anti-