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LIBRO SECONDO 211

ogni nuovo disturbo. Quanto mi sapea, tanto ho narrato del fantino Egisto.

II. Ora Belisario procedeva su pe’ monti di questa regione col proposito di non assalire all’aperta i nemici perché molto superiori di numero. Oltracciò vedendo i barbari avvilitissimi a cagione de’ sofferti sinistri tenea per fermo che all’udire sovrastanti loro da ogni banda le romane truppe, e’ darebbonsi immantinente, non sapendo più che sia valore, alla fuga; e colpì nel punto conghietturando con tale certezza del futuro. Laonde posto il piede su’ poggi distanti il cammino d’un giorno da Arimino avvennersi ad una piccola schiera di Gotti, diretti a far provvista di alcun bisogno della vita, i quali ben lunge dal pensarlo scontratisi coll’esercito nemico ed in circostanze da non poterlo evitare fu mestieri che parte rimanesservi spenti dai romani dardi, e parte mal conci dalle ferite campassero furtivamente tra’ vicini scogli; e da quivi osservandone il numero ognora crescente per tutte quelle gole giudicaronlo assai più forte di quanto in realtà si fosse; veduti inoltre i vessilli di Belisario tosto conobbero ch’egli stesso conduceva le truppe. I Romani colà passarono la notte, ed i Gotti feriti avviaronsi ascosamente al campo di Vitige, ove arrivati verso il meriggio diedero prova certa, discoprendo lor membra offese, che il duce imperiale era lì per giugnere con poderosissima oste. Quelli dunque apprestaronsi alla pugna dalla banda aquilonare d’Arimino, estimando che da quivi accadrebbe lo scontro, ed in grazia di questo lor pensamento tutti gli sguardi eran volti alla sommità del monte. Ottenebratosi di poi il cielo men-