voi delle imperiali faccende. Imperciocchè niente vale nell’arte della guerra una sconsiderata prontezza, assaissimo per lo contrario un maturo consiglio, ed un accorgimento giusto ponderatore di tutta l’importanza delle occasioni. Voi quali giuocatori ai dadi vorreste il tutto sommettere al getto d’uno di essi, ma non è mia usanza d’anteporre un furioso procedere ai vantaggi d’un vie meglio calcolato operare. Mi promettete inoltre di farvi nostri aiutatori nell’assalire il nemico: or bene di grazia, quando vi esercitaste nel maneggio delle armi? E foste pure valentissimi in esso, chi non di meno appresene l’arte col battagliare del continuo, sa pur troppo non potersi in un attimo addivenir guerriero, ed una simulata fazione di guerra essere ben lunge del presentare l’avversario in campo. Ammiro impertanto la vostra prontezza e vi condono l’eccitato tumulto; vi proverò solo che a mal punto il faceste, e noi prudentemente indugiamo. L’imperatore ci manda innumerevole esercito raccolto da tutti gli stati suoi, ed un’armata di mare, quanta non ebbero mai prima d’ora i Romani già cuopre il littorale della Campania e parte grandissima del seno Ionico, e tra pochi giorni qui approderà carica d’ogni maniera di vittuaglia, più che sufficiente a trarci fuori dalla miseria e ad inondare di dardi i campi nemici. Ho divisato adunque di procrastinare la battaglia sino all’arrivo loro, estimando consiglio migliore l’assicurarsi della vittoria, che non mandare in rovina con precipitosa e dissennata audacia la comune salvezza: sarà quindi