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154 GUERRE GOTTICHE

qualche idea. Di già parte de’ Romani ha incontrato morte, nè sepolcro cuoprene le fredde spoglie; e noi ancora viventi, per dir breve le sofferenze nostre, viviamo, che le mille volte ameremmo meglio essere nel numero degli insepolti. Conciossiachè la fame quanti ha in suo dominio ben di leggieri induceli a credere tutti gli altri mali comportabili, fa dimenticare qualsivoglia sinistro, e giugne persino a rendere soave ogni specie di morte rimpetto a quella da lei prodotta. Accondiscendi pertanto che non ancora da questo flagello distrutti cimentiamo le armi per le bisogne nostre, all’uopo o d’uscirne vittoriosi, o di trovarvi un termine ai presenti mali. E di vero coloro cui il temporeggiare dà speranza di salvezza spererebbero più che da stolti se impazienti dell’attendere affidassero la somma delle cose alla sorte d’un combattimento. Noi in cambio col nostro indugiare accresciamo la difficoltà della battaglia; e l’indugio stesso, comunque vuoi breve, ne verrà assai più attribuito a colpa, che non l’esporci ad una pronta e ardita impresa.» Belisario così rispondea ai romani oratori: « Quanto sin qui operaste erasi già compiutamente dal mio animo preveduto, nè un che avvenne d’improviso per esse. Ben da lunga pezza apparai come sia il vulgo insubordinato, intollerante del presente, improvvido del futuro, e di nulla capace, salvo l’esporsi di leggieri ai più ardui cimenti, ed il correre con temerità somma alla propria rovina. La vostra cieca instabilità non ha tuttavia sopra di me possa tale che inducami a fare scempio di voi, e con