Pagina:Opere di Procopio di Cesarea, Tomo III.djvu/163


LIBRO SECONDO 153

che terminato di spogliare delle biade le campagne, i Romani giunti agli estremi ragunaronsi in massa per obbligare Belisario ad una decisiva fazione col nemico, promettendogli che nessuno de’ cittadini sarebbesi ritratto dal prendervi parte. A quest’uopo alcuni di essi fattiglisi innanzi, e trovatolo nel massimo sbigottimento per le presenti bisogne e coll’animo dolentissimo, gli dirizzarono a un dipresso le parole seguenti: «La nostra situazione, o condottiero, per nulla corrisponde alle già concepite speranze, ma, ch’è più, sortirono queste un esito affatto contrario. Imperocchè dopo aver conseguito quanto era da prima l’oggetto dei comuni voti, ora ci ravvolgiamo in tante sciagure che sarebbe vera demenza e sorgente di mali ancor peggiori il voler perseverare tuttavia ne’ primi divisamenti; quelli intendiamo di ostinarci a temporeggiare nella dolce lusinga di venir liberati per opera dei cesarei soccorsi. Or dunque a tale ci spingono le nostre miserie che fannoci arditi a segno di voler usare della forza delle armi contro il nemico. Ma sia qui permesso di parlarti con maggiore franchezza, dacchè un ventre digiuno e bisognoso di tutto non sa arrossire, e le calamità da noi tollerate renderanno meritevole di scusa il nostro ardimento, non avendovi, a giudicarne dalle apparenze, disgrazia peggiore del prolungare una vita infelice; tu vedi a che siamo ridotti: il barbaro è padrone dei campi e della regione per lungo e per lato a noi dintorno; da questa città sono mandati in bando tutti gli agi della vita, e da sì gran tempo che appena possiamo formarcene