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LIBRO SECONDO | 487 |
berò senza più attendere di accingersi apertamente all’opera.
CAPO XXVI.
I. Or bene il ribelle ingiuriò tosto di parole Areobindo, tacciandolo di codardia, di effeminatezza e di pusillamimità somma nel cimentarsi ad una battaglia, cagione di quella sua lentezza nello schierare l’esercito; nulla stargli sì a cuore, aggiugnea, quanto l’abbandonarsi con Atanasio ad una improvvisa fuga, indifferentissimo del resto che la soldatesca muoia tutta consunta dalla fame o trucidata dalle barbariche spade. Promette in fine, avendone il comun suffragio, impossessarsi d’entrambi, e tenerli sotto buona guardia (speranzoso che nel trambusto Areobindo sopraffatto dal timore si volgerebbe in fuga, o non partendosi avrebbe morte dagli stessi Romani), e sborsare del suo ad ogni individuo lo stipendio arretratogli dal pubblico tesoro. Le truppe commendanne altamente i propositi, e biasimando il proprio duce muovono gli animi loro a odiarlo.
II. Poco stante arrivato colà Areobindo con seco Artabano e grandi scorte di guardie si fa accanita battaglia e dalle torri e dalla porta ov’era Gontari, nè cede per lunga pezza alcuna delle parti; dal campo