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366 | GUERRE VANDALICHE |
dalla giustizia, ed un guerriero disamorato del suo duce non tratterà mai coraggiosamente le armi. Noi di più avemmo sempre che fare collo Scita e col Persiano, i Vandali in vece dopo messo piede nell’Africa non videro altri nemici che l’ignudo Numida; e chi di voi ignorerà essere ogni maniera di disciplina per lo esercizio accresciuta, e dall’ozio fiaccata? Abbiamo del resto un campo ben trincerato ove depositare senza tema le salmerie e le armi soverchie, ed ove tornando non patiremo difetto di vittuaglia. Pregovi adunque tutti che vogliate, rimembrando la fortezza vostra ed i cari pegni lasciati in patria, accingervi con animo intrepido ai perigli di questa lotta».
II. Dopo l’esortazione il duce, invocato il divino aiuto e fidata sua moglie Antonina ed il campo alla fanteria, mosse con tutti i cavalieri, non persuaso di cimentarsi alla prima coll’intiero esercito, nè volendo piuttosto conoscere, scorrazzando e badaluccando, le forze nemiche per indi valersi degli uni e dell’altra. Fatti perciò inoltrare i capi delle schiere confederate, e’ seguivali passo passo cogli astieri, co’ pavesai, e colle altre sue guardie. Pervenuti quelli a Decimo al mirare tuttavia in su la terra i cadaveri degli uccisi, e tra essi i dodici colleghi capitanati da Giovanni, ed Ammata stesso con parecchi Vandali, e all’udire dai contadini le passate schermaglie, stettersi alquanto sopra pensiero ed incerti del partito da prendere. Ma intanto che andavano ponendo mente alle cose loro e volgendo su per que’ poggi lo sguardo all’intorno, videro levarsi da tramontana gran polverio, cui tenne ben presto dietro una foltissima