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268 GUERRE PERSIANE

pingendogli assar più lungo e scabroso il passaggio del Fasi, per sottrarre allo sguardo persiano l’aspetto della regione e delle città loro. Inaccessibili ne sono i confini dalle due ripe di questo fiume, avendovi ertissime scogliere con aditi, nomati dai Romani gole, impene-

    di profondi lumi sull’antica filosofia, acquistati collo studio delle più eccellenti Opere greche tradotte nella propria lingua, e sapersi da lui Aristotile meglio che non Demostene da Tucidide. Essere di più la sua mente ricolma della platonica dottrina, pervenuto a comprendere benissimo il Timeo, dialogo sopra ogni altro oscurissimo di questo filosofo, in grazia delle sue fisiche e geometriche dimostrazioni, ed eziandio quelli che han nome anch’essi di malagevole intelligenza, il Fedone, dico, il Gorgia, il Parmenide. Ma io non so persuadermi essere in lui la perfezione delle scienze ed i talenti accordatigli dal volgo; e di vero come può darsi che la bellezza e la grazia delle espressioni corrispondenti nel greco idioma cotanto alla natura delle cose trovassero frasi di egualissimo valore in una barbara lingua? Come supporre che un principe cresciuto nel fasto, corrotto dall’adulazione, ed avvezzo ai costumi d’un popolo feroce, occupato aggiugni di continuo nella guerra, abbia il mezzo di segnalarsi nelle scienze? Se per lo contrario ci limiteremo a commendare in lui, tra le cure del regno ed il reggimento di tanti sudditi, qualche gusto per la letteratura e l’andarne glorioso, il nostro elogio, a mio avviso, rimarrassi entro i confini della verità, e sotto questo rapporto non gli negheremo similmente la preferenza rimpetto agli altri principi. Quando invece l’attribuirgli una peregrina erudizione, e l’inalzarlo sopra i più incliti filosofi dell’antichità come toccato avesse l’apice delle arti e delle scienze, mentrechè i peripatetici stessi diceransi giunti appena a formarne l’idea, parmi che sia un lasciarsi allucinare da falsi clamori, ed un andare grandemente errato».