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LIBRO SECONDO 253

ler quivi rimanere coll’esercito finchè non venissergli restituiti dagli Edesseni Pietro e Peranio, i quali, schiavi di suo padre, avevano poscia avuto la baldanza d’impugnare le armi contro di lui; e quando i Romani vi si rifiutassero proponeva l’alternativa o di sborsargli cinquanta mila aurei1 o di aprire lor porte ad alcuni Persiani che investigherebbero e porterebbero via tutto l’oro e l’argento, lasciando ai cittadini la libertà e la padronanza del resto. Sì disse il re con orgoglio sommo, e pieno di fiducia che porterebbevi di leggieri entro le armi. Gli ambasciadori, giudicando impossibile di aderire a nessuna delle proposte, malcontenti dell’animo e pieni d’affanno tornarono alla città, mettendola con sì tristo annunzio nella più desolante costernazione.

VI. Cresceva intanto a dismisura il battifolle, ed i Romani più non sapendo qual consiglio prendere inviarono altra fiata al barbaro i loro deputati, ma questi pervenuti al campo e dichiaratisi oratori delle già supplicate cose non poterono tampoco udire la voce reale, e dovettero, ch’è peggio, con molte villanie retrocedere. Il presidio allora stabilì difendersi valorosamente, ed innanzi tutto pose mano ad elevare la parte del muro di contro al cavaliere per non essere dal nemico dominato. Giunto pero al termine della sua opera esortò Martino che andasse a conchiudere la pace comunque e’ crederebbe opportuno; il duce avvicinatosi al campo nemico palesò il motivo della sua venuta ad alcuni duci,

  1. Cinquante mille marcs d’argent (Cousin).