portatori della lettera, sgarrata la via, non valsero ad aggiugnere il paese ove tendeano; e che, per isconcio maggiore, una mano di Romani allo scuro de’ fatti accordi trattolli ostilmente, massacrando sin donne e fanciulli acquattatisi in certa caverna, ignorando forse qual gente si fossero, o, se pur vuoi, incollorita non vedendoli in conformità delle promesse loro deporre le armi. Irritati pertanto gli Aspeziani da sofferti oltraggi allestironsi cogli altri alla guerra; essendo però la regione mal piana e frastagliata da’ precipizj, mancò loro il mezzo di unire le truppe, e dovettero lasciarle disperse in alcune piccole vallee. Dopo di che una parte de’ cavalieri armeni s’avvenne a Sitta parimente in arcione ed alla testa di pochi Romani; qui fermatisi gli uni di contro agli altri su due colline separate dall’interposta valle, di botto il Romano spronò il destriero alla volta del nemico, ma vedutolo in fuga arrestossi, nè pensò molestarlo dagli omeri. In questo mezzo poi s’accese di gravissimo sdegno contro uno de’ suoi eruli cavalieri, il quale accostatoglisi di camera inavvertentemente urtonne la lancia, conficcata nel suolo, e ridussela in pezzi; e siccome tratto erasi l’elmo dal capo, tal degli Armeni, raffigurandolo, iva dicendo a suoi compagni lui essere quell’audacissimo, cui bastò l’animo di affrontarli con sì piccola mano di armati. Udito Sitta il favellar di costoro nudò la spada, non potendosi più difendere coll’asta, e fuggì per lo mezzo della vallea, ma incalzato con furore venne dai barbari aggiunto e ferito di spada nel capo, lieve però in guisa fu la piaga da non riportarne l’osso nocumen-