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«In Giustiniano fu tanto insaziabile la bramosia del denaro, e tanto turpe ed assurdo l’appetito delle robe altrui, che per avere oro vendè tutte le sostanze de’ sudditi a quelli che esercitavano magistrature, o raccoglievano tributi, o desideravano senza averne alcuna ragione di ruinar gli uomini. Parecchi, e dirò meglio, innumerabili, che assai beni possedevano, con falsi ed artifiziosi pretesti spogliò di tutte le loro fortune. Se alcuna meretrice adocchiando i beni di uno fingesse avere qualche pratica, o intimità con lui, immediatemente, purchè del turpe lucro chiamasse a parte Giustiniano, tutte le più sacre leggi venivano sovvertite a riguardo di lei; e tutte le facoltà della persona processata di delitto che non avea commesso, erano trasportate a casa di quella. Era poi Giustiniano sì largo in erogare il denaro, che molti e magnifici templi in diversi luoghi innalzava...: cose al certo pie, e che sarebbero a Dio accette, se od egli, od altri, che così faccia, impiegassero beni proprii; e a Dio offerissero le opere della loro vita esenti dalle macchie del delitto».

E al cap. 31 dello stesso libro. «Debbo dire di altro fatto di Giustiniano, il quale non so indicare se dalla viziosa sua natura, o da timore e spavento nascesse. Questo fatto ebbe il suo principio da quella sedizione popolare, che si chiamò Nika, cioè Vinci. Piacque sì

Procopio. 3