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mundaro, e gli Unni a far la guerra ai Persiani, grandi cose promettendo, e somministrando gran denaro; nè asconde ciò essere stato di danno gravissimo all’Imperio romano. Dice, che per avere negato per molto tempo le paghe ai soldati delle guarnigioni, questi aveano disertato ai nemici. Dice, che Giustiniano, oltre i cattivi ministri urbani e domestici, due n’ebbe all’esercito insigni strumenti della sua avarizia, Giovanni questore, il quale per risparmiare all’Imperadore le spese dando cattivissimo pane ai soldati, fu cagione che un numero grandissimo ne perisse; ed Alessandro Forficula, tanto venuto in odio a’ soldati, che a bella posta seguitarono a far male la guerra in Italia.
Nè a queste cose Procopio si limitò: chè ovunque i casi, e i fatti lo richiedevano, nulla dissimulò di quanto la verità comportasse. Per questo non tacque che per sola avarizia Giustiniano creò i logoteti militari, ed in Roma abolì tutti gli antichi onori. Per questo non tacque che quell’Imperadore sempre promosse i più scellerati alle dignità e alle magistrature, fra i quali Acacio, a cui dopo l’assassinio di Amazaspe conferì il supremo comando in Armenia, e Giovanni Libo, che fu l’autore della defezione a Cosroe de’ popoli della Colchide.
Queste ed altre cose a queste simili diede Procopio a leggere a Giustiniano. E dopo avere scritto di questa maniera ne’ primi sette libri della sua Storia pubblica,